Trip Back

XTC 

Il Mondo Salvato dai Bambini

Tempi Dispari
1999

Uno degli enunciati più noti di quella che è conosciuta come la Teoria del Caos, recita che un batter d'ali di farfalla a Pechino può contribuire a provocare un terremoto in California. Nella catastrofe di stupidità sonora che quotidianamente minaccia di sommergerci, gli XTC hanno la funzione di quel minuscolo battito d'ali ma giusto al contrario, in positivo; l'elevato tasso d'intelligenza della loro musica impedisce alle nostre orecchie stremate di collassare, di cedere alla Babele di canzonucole, di revival 60 - 70 - 80, di rockstar (!) che vestono griffato e scrivono colonne sonore per sfilate di moda, di giovinotti che dopo due dischi si sentono più famosi di Gesù Cristo e John Lennon insieme e te lo sbattono in faccia. Partridge e Moulding (e il quasi - ex Gregory) equilibrano questa tendenza all'Apocalisse spirituale grazie ad un miracoloso talento.

Lo sguardo dei bambini sul mondo degli adulti è tematica bellissima, spesso emozionante, che ha ispirato come poche altre il mondo delle arti.

Mi piace pensare agli XTC come a dei quarantenni che da tempo hanno imparato a sviluppare una vista diversa, aggiuntiva. Non ingenua, ma sincera. Non semplicistica, ma semplice. La capacità di chi ha ritrovato la freschezza dell'adolescenza e guarda al mondo con un misto di saggezza e candore. Che è poi il segreto della loro musica, curatissima, raffinata, ma fresca e leggera come l'acqua.

Uscendo dalla parte orientale di Londra s'imbocca la M4, che porta rapidamente a Windsor. Proseguendo, ad un centinaio di chilometri dalla capitale (e quaranta a nord dei dolmen di Stonehenge) l'ignaro viaggiatore è accolto dall'ameno borgo di Swindon o, per meglio dire, dal reame di Swindonia. Così tipicamente "british", così pervicacemente provinciale, il piccolo Regno è da 25 anni teatro di una grande rappresentazione musicale in cui tutto, dalle scenografie al copione alla tappezzeria del foyer, è magnanimamente fornito dalla Famiglia Regnante, i Principi Reggenti Partridge e Moulding.

Gli XTC debbono a Swindon esistenza e fonti d'ispirazione, ma probabilmente sono grati alla "smalltown" soprattutto per la possibilità di rimanere lontani da ciò che Londra significa per i musicisti pop; notorietà, sovraesposizione, moda. In una parola, per la possibilità di continuare ad essere "unfashionable".

La ditta XTC nasce nel 1975 e le droghe non c'entrano nulla, anche se la sigla può essere letta come la contrazione di ecstasy (sostanza che, peraltro, era ancora di là da venire). Da Swindon Andy Partridge, Colin Moulding, Terry Chambers e Barry Andrews (chitarra, basso, batteria e tastiere) approdano alla firma con la Virgin, che nel '77 da alle stampe il primo lavoro, "White music".

Il gruppo ha suscitato impressioni soddisfacenti nelle esperienze dal vivo. Si è esibito al Ronnie Scott's, dove John Peel li ha notati, convocandoli immediatamente per una delle sue sessions. La curiosità per il primo disco è grande, ed almeno in parte ben ripagata. "White music" (pubblicizzato in Italia, probabilmente per ragioni di mercato, come punk-rock) fa nascere la voglia di conoscere meglio il quartetto e contiene almeno un paio di canzoni di ottimo livello, oltre all'unica cover mai incisa dagli XTC (una problematica All along the watchtower, con strane vesti simil-reggae).

In particolare, Statue of Liberty e This is pop (titolo quanto mai programmatico) sono inseminate da alcuni degli elementi che saranno parte del loro marchio di fabbrica: chitarre nervose, ritmica secca, armonie aperte e sorprendenti con frequenti guizzi di follia e, su tutto, una notevole capacità di scrivere melodie, quelle melodie così squisitamente pop, già perfettamente asservite ai compiti di prima linea nel combattere la guerra per la "perfect pop song".

"Go 2" esce nel 1978, dopo la discreta accoglienza riservata al primo disco. Barry Andrews scrive alcuni brani per questo lavoro, ma si tratta dell'ultima collaborazione con la band (lo si ritroverà tra l'80 e l'81, in compagnia della League of gentleman di Robert Fripp). Le sue tastiere, a dire il vero spesso abbastanza gracili, vengono sostituite dalla chitarra di un altro amico, guarda un po', swindoniano: Dave Gregory, eccellente musicista che diventerà poi il polistrumentista del gruppo. "Go 2" è un miglioramento, anche se la mancanza di un singolo trainante lo penalizza non poco, ma è con l'LP successivo che il suono degli XTC matura, si chiariscono gli equilibri interni e cominciano a spuntare i germogli di una pop music raffinata quanto fuori dall'ordinario.

"Drums and wires", prodotto nel 1979 da Steve Lillywhite, mantiene quanto promette sin dal titolo. Percussivo ed elettrico, pervaso da un energia sconosciuta in precedenza, il disco ha dalla sua un magnifico suono e composizioni superbe.

Le due chitarre elettriche dialogano alla pari, producendo intrecci ed arpeggi che rendono affascinanti anche gli arrangiamenti più semplici. Partridge e Moulding si dividono (in parti diseguali, essendo Andy più prolifico) la scrittura dei brani, come sarà fino ai giorni nostri. Making plans for Nigel è singolo di successo, ma la qualità è equamente distribuita in tutti i solchi. Così Ten feet tall, dall'aspetto lirico e lineare, o Real by reel, con il suo brevissimo e bruciante assolo di chitarra. E poi stranezze, armonie piegate ed arricchite fino al risultato voluto, il gusto di giocare con la materia musicale e quello spirito, quell'ironia sdrammatizzante che permette a Partridge di cantare su Millions come un ubriaco non proprio intonato, mandando a quel paese l'incedere iniziale misterioso e spezzato. Talento, spirito, fantasia: il profilo si fa preciso.

Da quando i Quattro Baronetti di Liverpool presero ciascuno la propria strada, ogni occasione è buona per dare un calcio ad un sasso e vedere schizzare fuori i nuovi Beatles. E' un argomento spinoso, inseparabile dal fatto che i Fab Four furono in assoluto i primi, con tutto il carico di comportamenti sociali e mode che il loro successo provocò. Ma ipotizzando un improbabile restringimento della questione a termini puramente musicali, si potrebbe azzardare una tesi: i nuovi Beatles non esistono, ma XTC è l'esperienza in cui più sono confluite le loro eredità. Che forse è un altro modo per dire la stessa cosa, senza dimenticare che anche l'estro di pop heroes come Kinks e Beach Boys ha influito sulle musiche swindoniane.

Dopo l'uscita di "Drums and wires" comincia a nascere qualche problema con la Virgin. La casa discografica inglese impedisce al gruppo di autoprodursi dopo che un singolo scritto da Partridge, Wait till your boat goes on, si rivela uno zero commerciale. L'album che segue, "Black sea", del 1980, non risente affatto di questa situazione; ciò che di nuovo proponeva il disco precedente qui è approfondito, messo a fuoco.

E' ancora il suono elettrico a farla da padrone, a volte corrosivo (Andy Partridge), a volte più quieto (Colin Moulding). Gli XTC (impressione confermata in seguito) paiono interessati ad incidere dischi che possano essere suonati nello stesso modo dal vivo, senza orpelli o sofisticazioni da sala di registrazione; un live-act su vinile, la prova generale di un concerto che si terrà con le stesse sonorità e lo stesso feeling.

I quattro palombari della copertina di "Black sea" s'immergono in un pop energico, scattante, che offre ben 5 perle di singoli, racchiuse in preziose forme madreperlacee. Respectable street, con tanto di coretti alla Brian Wilson ed una struttura invertita, così che il ritornello pare la strofa e viceversa, apre il disco seguita da Generals and majors, saltellante inno antimilitarista di Moulding, dove non manca un'autenticamente falsa marcetta fischiettata. Towers of London è puro stile Partridge, canzoncina corrosiva con idee a palate, per chiunque altro sufficienti a confezionare almeno tre brani; Love at first sight di Moulding è un accumulo di brevi frasi di chitarra, micro-riff suonati su un beat quasi dance che si scioglie in poche battute di un ritornello parrocchiale.

Gli XTC sono lanciatissimi. Hanno le idee chiare, un magnifico suono (le chitarre, che possono essere chiamate solo chitarre XTC, come nella magnifica No language in our lungs), il gusto per il bozzetto, per il racconto in musica.

E poi l'istinto del ricercatore, la voglia di rischiare, d'incidere i sette minuti di Travels in Nihilon aggiornando in un'unica traccia i Beatles più acidi, quelli di I want you, rendendoli al tempo stesso modali e metallici.

Nel 1981 la band ha all'attivo quattro LP ed un imprecisato numero di concerti in giro per il mondo. Nella tournee 80/81 atterrano negli Stati Uniti, dove in un'esibizione ad Athens, Georgia, hanno come spalla una gloria locale, il gruppo dei R.E.M.. Il nuovo decennio, insomma, li potrebbe vedere sugli allori, ma il fato ha ben altro in serbo per loro. Dall'uscita di "English settlement" (1982) in poi, i precedenti problemi psicologici di Partridge esplodono; per lui diventa impossibile suonare dal vivo, un blocco totale l'attanaglia ogni volta che mette piede sul palco. Attraverso volenterosi tentativi che hanno come unico risultato nausee e crampi allo stomaco, le terapie rivelano che tra Andy e la vita in tour c'è assoluta incompatibilità.

Aver interrotto il decennale uso del Valium può essere una delle cause, e comunque poco importa: il fatto è che dal 1982 gli XTC si ritirano a lavorare in studio. Addio tournee, addio vita on the road. Da quel momento solo il sottile fruscio dei registratori sarà testimone della loro operosità. L'uscita del cofanetto "Transistor blast", nel 1998, mostra quale perdita sia stata il ritiro dall'attività on stage di Andy Partridge e compagni. I quattro CD danno l'impressione di una band che dal vivo poteva permettersi di tutto, con una pulizia ed una precisione invidiabili.

"English settlement" (duplice il significato, Inglese può essere la Determinazione come una Colonia, nel senso di dominio coloniale) è l'opera più ambiziosa e meglio riuscita del primo periodo della band. Esce come doppio LP, con quindici lunghe canzoni che incorniciano la perfezione stilistica raggiunta dal quartetto. C'è meno elettricità rispetto al passato; il sound è una versione ingentilita dei dischi precedenti, una specie di moderno folk privo di sudditanza verso la tradizione.

Ogni canzone è un piccolo gioiello di scrittura ed esecuzione, dal romanticismo melanconico di Runaways al rock tirato di No thugs in our house. Chambers abbandona completamente ogni residuo della ritmica un po' meccanica tipica del periodo new wave, dimostrandosi batterista capace di produrre pulsazioni elaborate e sostenute come in Melt the guns; Moulding, come il buon McCartney dei tempi andati, fa di ogni linea di basso un disegno melodico a sè stante, eccellente a prescindere da ciò che gli accade attorno.

Il doppio sancisce un principio: le canzoni XTC, d'ora in poi, possiedono l'aura della classicità.

Non hanno anagrafe, non invecchiano, il loro significato rimane immutato. In esse è sempre possibile riconoscere un lampo, uno scarto, una pennellata che le rende inconfondibili. Che sia lo stupendo folk di Yacht dance o English roundabout o la scherzosa etnologia di It's nearly Africa il marchio è innegabilmente quello.

Un'altra tegola: Terry Chambers decide di ritirarsi, l'aria di Swindon non fa più per lui e per la da poco impalmata moglie australiana.

Con la lavorazione del nuovo disco già avviata, il 25% della ditta s'eclissa ed il quartetto diventa un trio, stabile per i successivi quindici anni.

"Mummer" (1983) è anche l'inizio di uno dei rapporti più travagliati tra musicisti ed industria discografica che la storia del rock'n'roll ricordi. La Virgin, etichetta per altri versi lungimirante, sembra divertirsi a rendere la vita difficile agli XTC. Chiede loro qualcosa di maggiormente commerciabile, universale.

La risposta, un ovvio dito medio alzato, è "Mummer". L'album è quello che in gergo viene definito un lavoro di transizione, il che significa poco. Con le chitarre in minore evidenza, l'estro folk si mischia ad un uso più accorto delle possibilità che offre lo studio di registrazione. In mezzo a brani che pur narrano di amori agresti (Love on a farmboy's wages) o di terre meravigliose (Wonderland) si ascoltano timbri sintetici, effetti sonori a là Abbey Road, imponenti cori che stupiscono per la loro analogia con la musica antica (Deliver us from Elements, "Oh Signore liberaci dagli elementi, noi siamo alla Tua mercè e riverenza; Human alchemy, "Abbiamo alimentato i fuochi del commercio con carbone umano"). Una splendida ballata come Ladybird sarebbe stata impensabile ai tempi di "Drums and wires", con la sua melodia delicata, guidata dal pianoforte e da un discreto swing; non manca, nemmeno qui, un guizzo di goliardia, ma come canzone d'amore ("Ladybird, ho sentito che ti piacerebbe camminare attraverso il mio cuscino") è rara quanto deliziosa. Funk pop a roll, il brano di chiusura, è il sigillo che ci ricorda la loro capacità di essere graffianti, ma il futuro è un altro. Come i Beatles, gli XTC diventeranno geniali manipolatori di suoni. Niente e nessuno li potrà schiodare da quel regno del possibile che è la sala d'incisione.

Il Tempo dell'Autentica Grandezza sta per arrivare.

Per un gruppo votato al pop più cristallino, la dimensione del singolo (il vecchio 45 giri) è estremamente importante; gli XTC misurano la loro bravura anche nell'abilità di contenere in quattro minuti il maggior numero di indizi sulla loro musica, ma la guerra aperta con la casa discografica gli impedisce di ottenere un'adeguata promozione. Il dover litigare ad ogni viaggio a Londra per decidere su produzione, arrangiamenti e royalties, fornisce un senso di rammarico per una possibilità svanita, quella di ritagliare un pezzetto di successo per chi punta esclusivamente sull'intelligenza e la curiosità degli ascoltatori.

Tra il 1981 e il 1983 gli XTC sembrano scomparsi dalla grande scena. La fiducia in sè stessi non è mai venuta meno, ma il fallimento delle ultime imprese li rende come dispersi (Partridge: "Chiamatemi stupido, ma quelli erano bei dischi. Se voi bastardi non volete comprarli, che posso farci? Ho fede nella mia arte"). "The big express" è del 1984 e da il via ad una piccola fissazione dei tre, quella per le confezioni-gadget. L'LP (un omaggio a Swindon, che ha grande passato ferroviario alle spalle) ha una copertina rotonda, ritagliata sulla sagoma di una ruota da locomotiva. Partridge, Moulding e Gregory hanno reso il suono più asciutto e meno dispersivo che in "Mummer".

"The big express" è disco bellissimo, vario, uno sguardo maturo venato di deliziose ingenuità beatlesiane. The everyday story of smalltown possiede una vena sbarazzina da adolescente, mentre You're the wish you are I had ispira l'idea di un coretto beat pre1965, capelli a caschetto e così via. Tastiere, organo, voci femminili sono parte dell'armamentario strumentale impiegato, Peter Phipps li aiuta alla batteria; giocare con le sonorità risulta molto facile, producendo strani incroci tra psichedelia e jazz (I remember the sun) o un bel racconto dalla contenuta tristezza sulla fine del mondo (This world over). Anche se i guizzi chitarristici sono dietro l'angolo, pronti a tagliare su misura il ritmo di Wake up.

Il termine mummer può essere tradotto con mimo, attore. Cioè colui che interpreta una parte, che si maschera. Preveggenza? Strategie oblique, per dirla con Eno? Fatto sta che due anni dopo il trio, con l'aggiunta del fratello di Gregory alla batteria, davvero si camuffa, e con quali risultati! Il primo aprile (April fool's day, in inglese) 1985 The Dukes of Stratosphear registrano un mini LP, "25 O'clock", che manda in brodo di giuggiole la maggior parte della critica e in generale chi non sa che dietro le camicie modello Syd Barrett si nasconde il terzetto di buontemponi swindoniani. Buontemponi ma cattivelli, se è vero che, prima di svelare il mistero legato alla realizzazione di un'operina esile ma più psichedelica di una notte all'UFO club, gli XTC hanno lasciato gridare al miracolo per "la rinascita della psichedelia", "la riscoperta di un capolavoro degli anni '60" e via dicendo. Uno scherzo sottile che non si ripeterà nel 1987, mancando il fattore sorpresa. Questa volta i Duchi fanno uscire un disco, "Psonic psunspot", sicuramente più meditato, anche se sempre in linea con la ricerca archeo-psichedelica (c'è pure il vinile colorato). Vanishing girl e You are a good man Albert Brown su tutte, con una banda di paese ad esibirsi in una marcia irresistibilmente comica.

Andy Partridge è prolifico, logorroico, auto-indulgente, caustico e dispotico. Colin Moulding riservato, moderato, silenzioso. Dave Gregory è l'uomo per tutte le stagioni, gran musicista e spalla ideale per le due menti pensanti.

Todd Rundgren, vecchia volpe di origini svedesi, valigia e passaporto pieni di esperienze musicali da ogni dove, infinitamente più cattivo dei tre inglesi messi insieme, con il suo carattere da produttore-colonnello ("personalità velenosa", hanno detto di lui) tiene insieme gli XTC durante la lavorazione di "Skylarking", dopo che la Virgin ha pensato di scommettere su questa ammucchiata anglo-scandinava. Lava e lapilli fuoriescono dagli Utopia Studios, Partridge litiga quotidianamente con Todd (che ha pianificato inflessibilmente ogni giornata di lavoro), Moulding se ne va a casa, poi ritorna a patto che sia Andy ad andarsene a fare un giro, Rundgren rimixa per tre volte i nastri, si discute, si storce il naso, poi il disco finalmente esce (1986).

"Skylarking", chi l'avrebbe mai detto, da un'immagine di quieta bellezza, di serenità che lo riveste in tutti i solchi. E' splendida, quest'incisione così tormentata e controversa. L'orizzonte delle possibilità dei tre si è allargato, l'unico denominatore comune è la forma-canzone, l'idea di farne un prodotto vicino alla perfezione classica.

Grass è il singolo designato, bucolico e rilassato, all'opposto di The man who sailed around his soul, uscito fresco dalla nervosa partitura di qualche orchestra jazz anni '50. Che sia stato Todd Rungren a farli osare di più o che il cambiamento fosse nell'aria, come polline a primavera, i risultati sono strabilianti. Moulding scrive Sacrificial bonfire riuscendo a rendere solenni due chitarre acustiche e un tamburo, come Strawinsky reincarnato in un folk singer; Partridge regala una delle sue canzoni più belle, 1000 Umbrellas, cantando su un accompagnamento di archi (un cimento con Yesterday?), arrangiati da Gregory con maestria tale da farsi scambiare per uno che di mestiere scriveva quartetti per Bartok.

L'album vende 250.000 copie, praticamente un miracolo per musica così diversa da ogni standard. Non è certo carico di appeal, questo striminzito gruppo che veleggia chissà dove. Stanno spesso appartati (anche perchè in pochi li cercano), non tengono concerti, appaiono a volte vestiti come stravaganti provinciali e le uniche frequentazioni mondane che vantano sono quelle del pub, naturalmente a Swindon. Eppure si comprende che la loro cocciutaggine, il loro voler restare abbarbicati alla musica e solo a quella, il loro osservare il mondo con semplicità ma sguardo intenso, trova un senso in ciò che riescono a mettere su disco.

Arance e limoni. Colori vivaci, fosforescenti. Una copertina che richiama la grafica della swingin' London e i disegni di "Yellow submarine". Gioco, gioco e ancora gioco.

"Oranges and lemons" (1989, doppio LP) è una stravaganza in technicolor che arriverà al primo posto nelle classifiche delle radio universitarie americane, vendendo circa 400.000 copie. Inciso in un clima di ottimismo, con le famiglie al seguito (e Pat Mastelotto alla batteria), l'agrumeto di Partridge è ricco di profumi orientaleggianti, ritmi sincopati e suoni esotici, con tanto di guitar-synth ad emulare un sitar. Moulding, più equilibrato e sfumato, veste le sue composizioni di una classica solidità, quasi a cementare le fondamenta dell'edificio.

E' lui a stupire per la facilità con cui tiene insieme una perfetta modern-folk-song come One of the millions, o per come intreccia le voci in Cynical Days e King for a day. Dal canto suo, Andy si trastulla con una chitarra orientaleggiante in Across the antheap e ci lascia intuire chissà quali meraviglie nel suo Garden of earthly delights; non dimentica, comunque, la vena pop più frizzante in The major of simpleton, spensierato inno alla semplicità ("Mai stato vicino ad un'università, mai preso un libro o un diploma") e soprattutto in The loving, melodia tridistillata che porta parole degne d'un tema di quinta elementare ("Tutt'intorno al mondo ogni ragazzo ed ogni ragazza ha bisogno d'amore/I soldati della Regina e tutti i duri che abbiamo visto hanno bisogno d'amore/I potenti e gli oppressi, hanno bisogno d'amore"). Così, tra minuscoli omaggi alla musica vocale africana (Hold me daddy), omaggi ben più sentiti ad una "cosina rosa" (Pink thing) e sperimentalismi quieti (Chalkhills and children) si conclude un disco che potrebbe preludere, si mormora, al loro ritorno sulle scene.

Un breve giro nelle stazioni radio USA, in versione acustica, è la soddisfacente esperienza che compiono gli XTC dopo l'uscita di "Oranges and lemons". Niente d'impegnativo, per carità, mezz'oretta davanti ai microfoni e poi via, per altri lidi.

Tarquin Gotch, loro attuale manager, ha un'idea. Visto che Gregory percepisce solo il 10% delle royalties (non essendo autore) ed amerebbe molto guadagnare qualche sterlina in più (anche perchè, a causa di controversie contrattuali, fino al 1982 tutti e tre hanno visto davvero pochi soldini), visto che un tour capitalizzerebbe i buoni risultati dell'ultimo disco, voilà: si propone a Partridge di sostituirlo come front-man sul palco, lasciandolo nell'ombra, senza eccesso di esposizione.

Il nome proposto, Thomas Dolby, incontra il gradimento della band, per via delle sue frequentazioni nei territori del pop più intelligente. Partridge pensa di "poter salire sul palcoscenico per un paio di canzoni, magari alla fine del concerto". La risposta di Gotch è perentoria: "Verrai su per l'intero fottuto set, idiota". Nascosto sì, ma non esageriamo. Per Andy è troppo. Addio tour.

Dei venti demotapes sottoposti alla Virgin per un nuovo lavoro, solo due piacciono ai dirigenti della Virgin. "Gli ho detto: Andy, questa è una canzone già scritta, è un'altra canzone Beach Boys o Beatles...". Parola di Jeremy Lascelles, c/o Virgin.

Partridge sostiene anche di essersi sentito chiedere: "Puoi scrivere qualcosa come gli ZZ Top?". Insomma, niente di nuovo. Anche la ricerca del produttore è estenuante, giunta al termine soltanto con il nome di Gus Dudgeon. "Nonsuch", 1992, è il frutto di questo cammino.

La grandezza degli XTC sta nel loro essere costantemente fuori dal tempo. La sincerità del loro lavoro gli permette di essere raffinati arrangiatori e cantanti adolescenziali, adulti e ragazzi al tempo stesso. "Nonsuch" è sessantatre minuti di strumenti elettrici ed acustici, percussioni, trombe, violini e viole; medioevo e fantascienza, risate e mestizia. Forse il loro miglior disco di sempre. Con l'aiuto di Dave Mattacks alla batteria, l'affresco che ne risulta è enorme, michelangiolesco. Peter pumpkinhead è una rivisitazione profana della passione di Cristo, ironica e graffiante.

Meno ovvie composizioni come Rook, strano melange musical-letterario ("Corvo, corvo, rivela quello che sai/è il mio nome quello sulla campana?") o Bungalow, di Moulding, oggetto non identificato nella sua ispirazione meditativa, così deviante rispetto alle regole del pop di successo. Gli XTC sono padroni di un segreto; ogni genere, ogni strumento, persino ogni accordo pare piegarsi al loro volere. La materia musicale è creta, modellata in forme impensabili senza qualche strana alchimia. Books are burning (il pensiero corre a Ray Bradbury, "la chiesa dei fiammiferi/ingrassa respirando il fumo dei sogni") è così normale, due chitarre basso batteria e voce, cosa fa la differenza? "Nonsuch" è opera di grande unità, che attraversa il cuore della musica pop senza perdere mai la direzione. Un capolavoro. Anche se il diapason oscilla tra un ritornello canzone-da-gita-in-pullman come Dear madam Barnum e il folk raffinato, orchestrale di War dance, il polso è fermo, lo sguardo sicuro. Nessuna deviazione. Sono sempre tre ragazzini quarantenni che cercano "the perfect pop song".

Tra il 1992 e il 1998 molte cose accadono. Gli XTC entrano in sciopero, quasi fossero minatori, contro l'etichetta che li sta soffocando in una stretta a metà tra paternalismo e compatimento. Ci sono problemi di salute a casa Partridge e a casa Moulding. Ci sono problemi di soldi.

Infine Dave Gregory abbandona la sigla, pur rimanenendo a disposizione per le avventure discografiche. Trovato il modo di andarsene dalla Virgin, come un nuovo battesimo esce "Apple Venus", nel 1999. E' uno splendido disco orchestrale, come nessuno ha più il coraggio di incidere.

Gli amori musicali sono sempre gli stessi, e Partridge ha già promesso per la fine del '99 una registrazione "piena di chitarre elettriche".

Adesso, gli XTC sono un duo. Abitano sempre a Swindon. Sono sempre l'uno logorroico, l'altro taciturno. E sono sempre i più grandi interpreti del pop da vent'anni a questa parte.

Franco Montanari


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